INDICE
Le Origini
Chiesa parrocchiale
Distruzione
Ricostruzione
Disordini nel cimitero
Trasferimento dal Camposanto
Bibliografia

LE ORIGINI

Il primo che parli di cristianesimo in Carignano rimonta al 981 circa. E' un rescritto di Ottone III re dei romani, che conferma ad Amizone vescovo di Torino il possesso di Carignano; e si deve credere che questo possesso, nelle cose spirituali, durasse da qualche tempo, forse non molto dopo la morte di S. Remigio (avvenuta nell'anno 533). Infatti un altro rescritto di Enrico III in data 1 maggio 1047 confermava ai canonici della chiesa del Santo Salvatore di Torino i possessi che la buona memoria «del vescovo Reguimiro aveva loro concesso» (1). Fra gli altri possedimenti citava pure «Curtem in Cargnano con cappella in Honore... sancti Remigii cum omnibus ad eam partinentibus». E cioè: la corte che è in Carignano con la chiesetta di S. Remigio e con tutti i beni che le spettano.
E poiché sappiamo che Reguimiro o Regimiro fu vescovo di Torino verso l'800 (vedi mons. Solero: il Duomo di Torino ecc. pag. 32 e pag. 113 con data però variata!) dobbiamo concludere che a quella data esisteva già in Carignano una comunità cristiana, bene organizzata e su di essa il vescovo di Torino esercitava la sua giurisdizione. Né pare avventato supporre che quel gruppo di fedeli sia sorto molto prima, forse subito dopo la morte del Santo protettore di Carignano: S. Remigio.
Di questa cappella però non sappiamo proprio nulla. Si trattava certamente di una piccola cappella, sufficiente in quei primi tempi di cristianesimo, quando il numero dei convertiti era ancora scarso nei piccoli centri di campagna, ove i pagani (da pagus: borgo-casale) erano assai più tenaci all'antica religione. Poco più di una «cella oratoria», una stanza in cui si pregava. Il vescovo di Torino o i canonici della chiesa del Santo Salvatore provvedevano in qualche modo ai bisogni spirituali di questi primi Carignanesi cristiani.

NOTE:

(1) […] Papa Innocenzo III, nel 1216, enumera anche le chiese di S. Remigio in Carignano, di S. Maria di Pogliano e S. Martino, a conferma dei privilegi già concessi dai papi precedenti […].

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CHIESA PARROCCHIALE

La primitiva cappella era dunque soltanto una piccola «cella oratoria». Ma poi, cresciuti di numero ed anche di coraggio, i Carignanesi convertiti vollero una vera chiesa parrocchiale, in sostituzione della insufficiente cappella. Di questa prima chiesa abbiamo qualche scarsa notizia. Fu il cardinale Millo a farcela avere. Egli aveva posto una serie di domande, nel 1757 al prevosto Ceresia, alle quali questi rispose con una relazione «frutto», egli dice, di faticose ricerche negli archivi della città (1).
Il Ceresia (che vuole addossare alla Municipalità le riparazioni e dimostrare la dipendenza della cappella di S. Remigio dalla chiesa parrocchiale di S. Giovanni) dice: « ... Per la Cappella di S. Remigio:
1° perché membro, o sia parte, sebben separata, spettante però come titolare alla presentanea di S. Giovanni Battista;
2° perché prima antica parrocchiale distrutta dal Popolo per impedire maggior male, e la ultima rovina di Carignano da nimici nelle guerre ivi ritirandosi, come per scrittura presso il S.r Conte Mola di Beinasco appare, e per tenersene memoria, ed uffiziare qualche poco ancora, quella si è costrutta;
3° perché più volte riparata, come nell'anno 1682 - parcella 93 e 65; 1687 - parcella 83 con croce di ferro, comandata prima di Bosco dal sud. o S.r Superiore; 1698 - 21 aprile fogl. 16 paga di quattro carra calcina d
al Schioppo per sito datoli dalla Città per ampliare sua casa; 1699 - parcella 129, 3 aprile per pietre dalle mura, e fondamenta cavate per servizio del pubblico».

Inoltre, parlando ancora in altro documento della chiesa parrocchiale distrutta, la descrive con queste parole:
«Quando questa (città) ha demolito la chiesa vecchia di san Remigio la quale era a tre navate con tredici altari con il maggiore, e del materiale si è servita per pubblico servizio ... ». Non era dunque più la chiesetta (capella) di cui parlava il vescovo Reguirniro. Si trattava di una costruzione imponente, anche se vogliamo ridurre a modeste proporzioni i dodici altari laterali. Pare volgesse la faccia a ponente, lungo la strada romana Pollenzo-Torino, come la primitiva cappella, dedicata già a San Remigio (2).
Negli ordinati della Comunità vi sono parecchie note di pagamento del 1629 che parlano di « pietre cavate dai muri e dalle fondamenta di san Remigio per uso pubblico ». Una di queste, in data 3 aprile, riportata anche dal Ceresia dice: « a Remigio Grosso per giornali quattro per carico di pietre cavate da san Remigio per servizio pubblico... ». E vi aggiunge una chiosa sua non molto chiara: « altra volta chiesa grande parrocchiale, poi rovinata da essi per togliere il comodo all'ostilità dei nemici nelle guerre contro Carignano come appare dall'istrumento del danaro data alla città di L. circa 5.000 dal signor prevosto Giambattista Mola per fare l'altar maggiore di marmo, presso il signor Conte Mola di Beinasco ». Era proprio dello stile romanico, cui probabilmente si ispirava la chiesa, usare in alcune località strati di pietra intercalati da corsi di mattoni legati solidamente insieme.
Era veramente chiesa parrocchiale. Aveva cioè cura d'anime, e il titolo di prepositura le spettava di buon diritto a differenza di altre chiese erette per sola devozione.
Premetto che era stata solennemente consecrata. Nella relazione della visita sinodale fatta dal can. Bogino nel 1744 (3) è detto che in un antichissimo breviario del S. Sepolcro, manoscritto intorno al 1309 e conservato nell'archivio del Carmelo torinese (4) era fatta espressa menzione di questa consecrazione; e un'aggiunta del 1470 annotava in margine del calendario: « Il giorno 8 genaio è la dedicazione di S. Remigio e soci in carignano ».
Nella premessa alla relazione sopra accennata del Bogino, è affermata anche più chiaramente la parrocchialità della nostra chiesa. « Il Borgo di Carignano, ora città, con tutto il suo vastissimo territorio formò sempre una sola parrocchia con il titolo di prepositura. E questa unica parrocchialitas era esercitata allora dalla chiesa di S. Remigio posta fuori dalle mura fortificate; ed ora nella chiesa di S. Giovanni la quale è posta nella città stessa. Questa prepositura fu sempre tenuta dai monaci clausini (di S. Michele della Chiusa). Infatti il primo sacerdote secolare che la ottenne in commenda fu un certo Guglielmo Formacari (5) de Roddo ».

Una conferma indiretta, ma assai efficace, l'abbiamo da una lite sorta fra il prevosto Giovanni Da Montafia nel 1434 e gli affittavoli delle terre del beneficio.
Il Prevosto Manfreddi da Castagnole, benedettino (il primo di cui si conosca il nome) aveva lasciato troppa libertà ai conduttori di quelle terre, ed essi ne erano diventati a poco a poco padroni. Il suo successore (1434), p. Giovanni da Montafia, più energico, tentò di rimettere le cose in sesto. Ricorse all'abate di S. Michele suo superiore; gli affittavoli spalleggiati, non si sa perché, dalle autorità comunali, ricorsero a papa Eugenio IV. Dopo molti litigi si venne ad un accomodamento. I «possessori di buoi » si obbligarono a versare annualmente al prevosto 250 fiorini di piccolo peso, in tre rate, per i seguenti motivi:
1° per riscattare « terras obbligatas », forse riconoscendo i proprii torti;
2° perché il Sig. Prevosto avesse di che vivere (se possit alimentare) e così attendere, meglio ai suoi uffici (et sic melius ministrare). E' chiaro dunque che vi rimaneva e vi compiva le funzioni parrocchiali (6).

NOTE:

(1) Sono pochi fogli, non sempre chiarissimi nell'esposizione, di ortografia spesso incerta, in calligrafia minuta, tondeggiante quasi infantile. Non dobbiamo però volergliene male, se pensiamo alle sue preoccupazioni, per la costruzione della nuova chiesa.
Rinunciamo a pensare ove egli le abbia trovate. Egli ebbe, veramente, la ventura di succedere al prevosto Lodovico Mola, nel 1737. Può darsi che questo Prevosto avesse avuto, fra le sue carte, qualche notizia su avvenimenti antichi. Carte ora introvabili, perché lasciate al nipote Vassallo Albertino Mola di Nomaglio in eredità con tutto il mobilio. Carte disperse o ammucchiate non si sa dove.
Il Ceresia dice di averle consultate, e di aver tratto da esse le notizie trasmesse al cardinale; notizie ora conservate nell'archivio parrocchiale.
(2) Si crede che sia stata dedicata a questo santo per la grande amicizia esistente fra san Massimo e Lui. Ma se confronti i dati estremi di loro vita: 381-465 per il primo e 439-533 per il secondo, non trovi gran margine per la loro amicizia. Si suole citare, a questo proposito, il patto di fratellanza che esiste fra il Capitolo di Torino e quello di Reims, rinnovato il 13 dicembre 1597 in un documento conservato nel Capitolo di Torino. Ma i Bollandisti, pur stimando possibile l'amicizia fra i due santi vescovi, conchiudono che essa è sorta più fra i due Capitoli, che non fra i due santi. Il can. Chiuso, nella sua « Storia della Chiesa in Piemonte dal 1797 ai giorni nostri », dice di aver interrogato i canonici di Reims per più precise notizie e di essere convinto che « nel Capitolo di quell'insigne collegiata non si trova documento anteriore al nostro ». Non può darsi che S. Remigio, zelantissimo, sia venuto in Piemonte attraverso il valico del S. Bernardo per S. Rémy?
(3) Don Gabriele Ignazio Bogino abbate di san Gennaro, vicario dell'abbate perpetuo e commendatario di san Michele della Chiusa card. Giacomo Millo di Casale. E' l'unica relazione dettagliata che rimanga negli archivi parrocchiali. Ad essa faremo, con fiducia, molti riferimenti.
(4) E' l'attuale chiesa di Santa Cristina. Il breviario or si trova nella biblioteca nazionale di Torino.
(5) Il chiar.mo prof. Rodolfo è d'avviso che debba leggersi Guglielmo Fornazieri di Roddo. Queste rinunce non erano infrequenti, e obbedivano a speciali momenti. A Villafranca, scrive lo storico Stefano Grande (“Gli 800 anni di storia di Villafranca Piemonte” a pagina 117), il 31 ottobre 1315 per mancanza di monaci officianti, portati via dalla peste, il priore di S. Stefano don Rufino di Bagnolo “decideva di rinunciare alla chiesa che rimetteva nelle mani del vescovo di Torino mons. Tedisio… In tal modo si chiudeva il periodo Benedettino della chiesa e incominciava il secondo periodo nel quale la Parrocchia, da regolare (e cioè tenuta da monaci) diventava secolare (cioè tenuta da preti)”. Come da noi 100 e più anni dopo.
(6) Il tributo che detti coloni, o livellatori, enfiteuti dovevano versare alla “corte” minore consisteva nella decima. Ma in questo tempo si assiste alla sostituzione di un censo in denaro, invece dei frutti in natura: cosa molto importante perché segna il trapasso all'economia monetaria (V. Gosso: Vita economica delle Abbazie Piemontesi, pag. 37).

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DISTRUZIONE

Fu dunque distrutta, dice, il prevosto Ceresia, dagli stessi Carignanesi, per eventi bellici e forse improvvisi, perché aggiunse: « non esservi notizia del parroco quando si è distrutta ».
Una memoria fatta raccogliere dal Card. Gardil nel 1782 dice fra l'altro: « La chiesa di san Remigio dedicata solennemente prima del 1400, per le grandi guerre del secolo XV che devastarono quelle contrade, fu rasa al suolo... e a quella fu sostituita la chiesa di san Giovanni Battista presso il Castello, che fu poi consacrata solennemente il giorno 18 ottobre 1484 dal rev. sig. Giovanni di Varax che era nel medesimo tempo vescovo di Belley, abate di san Michele della Chiusa e prevosto di Carignano ». In una nota aggiunta è scritto: «mediis illis temporibus» e, tradotto a lettera, potrebbe indicare il 1450.
Nella relazione più volte citata del Bogino si evita di fissare date, «Si crede che questa antica chiesa parrocchiale sia stata distrutta dopo il 1373 occasione bellorum (anch'egli parla di guerre) che obbligarono i cittadini a cingere il luogo di fortificazioni e a ritirarsi nella parte fortificata».
Non s'è trovato, nonostante le molte ricerche, la data precisa della distruzione di questa prima chiesa parrocchiale di Carignano. Ma se si può prestar fede agli estensori delle bolle pontificie e alla loro cura di separare le chiese dai loro benefici questa non avvenne prima del 1459, perché è di questa data la bolla di Papa Pio II che assegna ancora al monastero di san Michele della Chiusa il possesso della chiesa di san Remigio di Carignano (vedi Clerc: Recueil des Bulles a pag. 10). E neanche dopo il 1484, perché a questa data è avvenuta la consecrazione della nuova chiesa parrocchiale costruita in sostituzione della distrutta parrocchiale di san Remigio.

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RICOSTRUZIONE

Le rovine di quella che fu la prima chiesa parrocchiale di Carignano rimasero lungamente nella loro desolazione. Così le vide ancora nel 1621 il visitatore apostolico Belletti. Poi il Comune si servì del materiale giacente per servizio pubblico, come è detto nelle memorie del prevosto Ceresia; forse per selciare qualche via o piazza della città.
Nel camposanto annesso alla chiesa distrutta si continuavano a seppellire quei morti che non avevano tombe privilegiate in cappelle gentilizie o di compagnie religiose. Il cimitero occupava la spianata che fronteggia l'attuale cappella: a destra si seppellivano gli uomini e a sinistra le donne. La spianata, forse un po' più vasta che l'attuale, misurava tavole piemontesi 81.
Ma nel 1670 il visitatore Enrielli trovò a buon punto la costruzione di una nuova cappella, sul sito, e in sostituzione della grande chiesa distrutta. Che cosa era avvenuto? Questo. Un sacerdote carignanese, tal Antonio Pistonato si era proposto di risvegliare il ricordo della vecchia chiesa parrocchiale. Fu negli anni 1633-34. Si conserva negli archivi parrocchiali la « nota di legati et ellemosine ricevute per la fabbrica di S. Remigio per me prete Pistonato di Carignano ». Raccolse lire 5700. Comperò per L. 3100 da Perracchia una casa con annesse 23 tavole di giardino per il cappellano; fece raccolta dei mattoni rimasti a terra, comperò calce per L. 662; pagò l'opera dei muratori (L. 1200); pagò L. 10 per la « pittura di essa ».
Il prevosto di allora don Ottavio Revelli, ottenne le necessarie licenze, e la cappella cominciò a funzionare.
Il visitatore Enrielli ce ne dà anche le dimensioni: sono pressapoco quelle della cappella che ora rimane.
Poiché sorgeva come cappella funeraria, era naturale che ad essa si ricorresse per suffragi. Tant'è vero che la chiesa della Misericordia, sorta in quei tempi con scopi quasi identici, levò protesta perché molto veniva sottratto alla sua attività. Ma il Vicario Generale Carroccio non solo non tenne conto della protesta, ma autorizzò, poco dopo, e cioè nel 1699, a celebrare, nella cappella risorta, le solenni Quarantore negli ultimi giorni di ottobre a queste condizioni: che non mancassero mai gli adoratori, e che al termine del terzo giorno il SS. Sacramento venisse riportato nella chiesa parrocchiale con molta solennità. Condizioni che vedo richieste in tutte le concessioni di sante Quarantore nelle varie chiese di Carignano.
Nella cappella di S. Remigio, esse si celebrarono certamente fino al 1823, e forse anche dopo.
In questa cappella si faceva anche « Il catechismo da san Giovanni Battista fino ai Santi ». Nel 1757 ne era incaricato don Tommaso Griffa rettore dell'Ospedale.

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DISORDINI NEL CIMITERO

Un atto pubblico steso il 13 aprile 1747 dal notaio Micha attribuisce a don Pietro Turena cappellano di san Remigio almeno 20 giornate piemontesi fra « Campi, prati, adacquati e alteni », oltre all'abitazione. Se, come pare si trattava del beneficio della cappella, le cose non erano male dal lato amministrativo.
Era invece in pessimo stato la manutenzione del Cimitero. Nacquero quindi dissidi fra il Comune e la Parrocchia in merito alle riparazioni resesi presto necessarie come da note del 1682-1684. Nel 1739 cadde una parte del cornicione esterno della Cappella; e campane e campanile, per lesioni forse causate dai continui fatti d'arme, costituivano un serio pericolo per i passanti. Le liti si prolungarono ancora fra il sindaco Mejnardi e il parroco Billotti; finché il 21 aprile 1784 il card. Gerdil addossò, nelle proporzioni che gli parvero più eque, al Comune e alla Parrocchia, le spese necessarie.
Ma i disordini più gravi, quasi incredibili, si ebbero nel cimitero e nei sepolcreti scavati nell'interno della cappella. A tal punto che il vicario generale Gabuto già nel 1716 aveva proibito, sotto pena di interdetto, di seppellirvi altri cadaveri. Nel cimitero esterno, le cose stavano ancora peggio, se possibile.
Nessuno crederebbe, se non rimanesse agli atti, le lagnanze perché « vari cadaveri restavano insepolti e distesi sopra il suolo in tempo d'inverno a motivo del gelo per cui non si poteva dall'interratore scavare le fosse ». E si che l'interratore veniva chiamato allora « il padre o il padrino dei morti »!

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TRASFERIMENTO DEL CAMPOSANTO

Prima di parlare dei restauri e dell'abbandono della cappella di S. Remigio, è necessario ricordare il fatto che ha determinato l'una e l'altra cosa: cioè il trasferimento del Cimitero da S. Remigio al sito attuale, in regione Ricajretto. Finché la cappella restava a guardia dei morti vi venivano celebrate funzioni funebri, e la sua esistenza si poteva dire assicurata, pur con i molti disordini ricordati.
Ma un giorno si parlò del trasferimento del cimitero fuori del concentrico, e in quel giorno si segnò praticamente l'abbandono della vecchia cappella-ricordo, e la sua condanna alla rovina. Fu verso il 1830, quando un manifesto senatoriale proibì la costruzione di nuovi cimiteri nel concentrico, e consigliò il trasferimento di quelli già esistenti. Il Sindaco, Di Larissé, nell'aprile del 1835, chiese consiglio al prevosto Abbate. Questi giudicò inopportuno il trasferimento, perché, a suo giudizio, la regione di S. Remigio non era più nel concentrico; attorno poi non vi era che la Casa-Ospedale dei Pellegrini, (casa e giardino Brusa), mentre la vicinanza favoriva l'accompagnamento dei morti; e infine perché dagli antichi registri risultava che fin dal 1300 i morti di Carignano erano sempre stati seppelliti in quel luogo (1).
Il Sindaco era di opposto parere; anche il vice sindaco dott. Bionda caldeggiava il trasferimento, per misure igieniche.
Venne, proprio in quei giorni, il colera a dire la sua parola; il colera del 1835 (quella del voto nella chiesa della Misericordia).
I morti furono due soltanto (2), e vennero seppelliti sei ore dopo la loro morte con molte precauzioni e con non minor paura.
Ci si convinse allora che era conveniente cercare un altro posto per i poveri morti. Una commissione speciale, composta dal dott. Bionda e da altri «medici fisici» scelse nella zona di Ricajretto un appezzamento asciutto, sabbioso, dei beni parrocchiali. Mons. Franzoni arcivescovo di Torino, con lettera da Fossano del 3 novembre 1835, autorizzò il prevosto Abbate a trattare la cessione, e a benedire il nuovo camposanto, ancorché le trattative non fossero ancora ben conchiuse. Si erano infatti arenate su una differenza minima dell'estimo. Il prevosto esigeva L.12, per tavola piemontese, e il Comune si era fermato alle L.11 e cent. 50 (3).
Una doppia perizia non riuscì a comporre la vertenza, tanta era la stima del soldo a quei tempi. Il prevosto fu poi un po' più remissivo, perchè gli premeva di ottenere una concessione dal Comune per la sistemazione della nuova casa parrocchiale.
L'ingegnere cav. Brunati disegnò il recinto del nuovo cimitero, e nel giugno 1855 si incominciò a seppellirvi i morti. Poi si pensò a portare a Ricajretto anche le salme del vecchio cimitero. La Curia arcivescovile di Torino aveva fissato certe formalità e condizioni: otto anni dall'ultimo seppellimento, ricerca di ogni frammento osseo fino a crivellar la terra.
Il 2 novembre 1863 il lugubre corteo dei 62 carri funebri mosse verso il cimitero. C'è, negli atti del Comune, una narrazione così viva, immediata, del solenne trasporto che mi par bene ripeterla quasi per intero, e con quelle medesime parole. Ricordato il lavoro febbrile di tutto il popolo il giorno precedente, attorno ai tumuli dei propri cari, dice: «Le famiglie le quali avevano tumuli particolari andavano a gara a raccogliere le ceneri dei loro trapassati facendole riporre in apposite casse per trasportarle poi al nuovo cimitero. I carri destinati al trasporto, coperti di bianco e con drappi neri, erano tanti che snodavano in fila da S. Remigio fino al palazzo del conte Mola di Nomaglio (4) ed ivi sostarono tutta la notte col pietoso carico. Alle ore 8,30 del mattino tutte le confraternita della città e compagnie religiose erano in moto: mentre le campane annunziavano la lugubre cerimonia. La musica cittadina si offerse volontariamente. Alle 9 il Clero e il Corpo municipale con le Compagnie si avviarono al cimitero; ed ivi, cantata dal Parroco una messa solenne da requiem, aprivasi la processione funebre preceduta da un picchetto di 50 soldati della Guardia Nazionale e chiusa similmente. Precedevano le Compagnie tutte; veniva dietro il Clero in gran numero, poscia il Corpo Municipale e gli Ufficiali della Guardia Nazionale con a capo il Maggiore del Battaglione, con al seguito i carri accompagnati lateralmente. Arrivati al nuovo cimitero il teol. Edoardo Capriolo, salito su una gradinata del Calvario, disse commoventi parole sulla lugubre cerimonia della giornata e quindi, datasi la benedizione dell'ossario, l'immensa folla se ne ritornava in paese leggendosi sul volto di tutti la tristezza e la rimembranza di quel lugubre trasporto, la di cui memoria rimarrà scolpita nel cuore di tutti; perché mai si vide dalla presente generazione funzione più solenne e maestosa di quella avanti descritta ».
Senti un po' la rettorica del tempo: ma la narrazione non manca di commovente effetto. Dicono le memorie di allora, che oltre cinquemila persone seguivano quella comune sepoltura di molti secoli. A casa non erano rimasti che i molto malati e i bambini (5).

NOTE:

1) Non si riesce a capire come mai il prevosto Abbate abbia potuto fare una simile dichiarazione. Il prevosto Ceresia, nel 1756 aveva scritto: « Non vi sono libbri più di centoquarant’anni. Vi è la continuazione per anni 140 ».
Si arriverebbe così fino al 1616. Negli archivi parrocchiali non si trova registro di data anteriore al 1590 per i Battezzati, al 1602 per i matrimoni; al 1624 per i morti; al 1831 per i Cresimati.
(2) Pautasso Antonio morto il l° Novembre 1835, e Cappello Giuseppe fu Giacomo.
(3) Contabilità incomprensibile per i giovani!
(4) Casa Cornaglia angolo Via Umberto e Corso Cesare Battisti. Conte di Nomaglio, s'è alterato, in dialetto, conte 'Mai.
(5) Il primo ampliamento - a ponente - è del 1898, il secondo - a levante del 1953
RESTAURI

Il vecchio camposanto si poteva considerare dissacrato, e la cappella condannata all’abbandono. Tuttavia, per l’abitudine di molti secoli essa rimaneva la tappa obbligata per tutti i morti; venivano a ricevere l'ultima assoluzione; dopo la sfilata per il paese e prima di proseguire il viaggio verso il nuovo camposanto.
Si volle perciò che la cappella non fosse un pericolo per gli accompagnatori. Fu il Comune stesso a bandire un concorso per i restauri necessari, fissando un massimo di cinquemila lire per la spesa.
L'apposita commissione era composta dal dott. Calosso, dal teol. Laugeri e dal misuratore Emilio Cara de Canonica. L'architetto Tappi, perito civico e bravo costruttore, presentò un suo progetto il 1° novembre 1865. Costruiva ex novo la cappella, ampliandola qualche poco; la volta veniva sostenuta da alcune colonne di severo ordine dorico; un pronao come l'attuale offriva riparo in caso di cattivo tempo. Verso la città, una cameretta poteva servire da sacrestia; un'altra simile, dalla parte opposta, era riservata alle rare autopsie. Una scalea di sette gradini avrebbe dato sufficiente risalto alla costruzione. Ma la spesa era preventivata in L. 10.150. La Commissione respinse seccamente il progetto, perché la spesa era « oltre il doppio del maximum che si era stabilito!!! - (1).
Fu invece approvato il progetto dei due geometri Michele Chiusano e Giuseppe Peliti «non tanto condiscendenti verso superflue bellezze architettoniche, tanto più quando queste sono formalmente proscritte da chi deve far le spese». Motivazione che non fa molto onore né alla Commissione che l'ha stilata, né al Consiglio Comunale che l’ha accettata.
Noi non sappiamo se debbano essere rimpiante queste «bellezze architettoniche» che nessuno ricorda, perché il progetto fu distrutto dal Tappi stesso, a quanto si dice; ma le costruzioni che di lui rimangono (vedi la casa a lato della chiesa della Misericordia) danno affidamento di buon gusto e di solidità.
Il progetto approvato restaurò la cappella che ora rimane, conservando i muri perimetrali mediante « sottofondazioni profonde un metro » e la spesa venne contenuta nei limiti fissati: L. 5.032 e cent. 40.
Un ultimo tentativo per mantenere in efficienza la chiesa venne compiuto dal prevosto Capriolo, il quale in compenso e quasi in riparazione della distruenda chiesa di S. Chiara, chiese ai titolari del locale Lanificio, con lettera del 22 maggio 1896, l'impegno di mantenere una messa festiva in S. Remigio. La richiesta fu respinta. Solo qualche rara volta la pietà dei fedeli viciniori o del borgo fece celebrare la S. Messa; più solenne nel giorno festivo del Santo. Poi cessarono anche queste ultime forme di devozione nella vecchia cappella. Fu nell'inverno 1927-28, quando una abbondante nevicata sfondò parte del tetto.(*)

NOTE:

(1) I tre puntini dell'originale sanno forse di ripicco, perché il progetto era stato presentato direttamente al Consiglio Comunale, con qualche disprezzo per la Commissione.

Ma la storia non finisce qui. Lo comprovano i documenti allegati relativi ad un successivo restauro promosso dalle Associazioni Combattentistiche e dall’Amministrazione Comunale degli anni 1951-56. Sul fondo pertinente venne creato il “Parco della Rimembranza” completato da una scalinata in pietra di Luserna e dal monumento ai Caduti della Seconda Guerra Mondiale (ora trasferito). In tale occasione vennero effettuati piccoli restauri (evidentemente solo di questi necessitava la chiesa).(**)
Testimonianze successive non scritte, dei borghigiani e del personale sanitario dell’allora Ospedale Civile di Carignano, ricordano che ancora nel 1975 il cappellano della struttura sanitaria celebrò una Messa in San Remigio. Solo nel 1977 iniziò il degrado nel quale versa attualmente: caddero i primi coppi e si trasferì l’arredo interno della chiesa. Le nevicate e il tempo fecero il resto.

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BIBLIOGRAFIA

(*) LUSSO sac. GIOVANNI BATTISTA “La Parrocchia”, Pinerolo, ALZANI, luglio 1964;
(**) Deliberazione del Comitato Comunale di Carignano per il “SACRARIO DEI CADUTI PER LA PATRIA” del 24 dicembre 1950;
(**) BILANCIO DELL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE 1951-56.

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